Genova per noi, ragazzi di riviera, non era un’idea come un’altra. Perché Genova era un punto di riferimento: musica, teatro, università. E pallavolo: Genova ne era il faro. Le squadre da ammirare erano Multedo e Italia Navigazione, poi Italsider e Gargano. Negli anni dell’apprendistato erano un incubo le battute a bilanciere di Baciccia Saettone, non meno delle terribili schiacciate di Gustin Conte. Poi sarebbero venute quelle di Renato Fegino. Fegio, il più grande di tutti. A stemperare le rivalità c’era la simpatia di Lillo Concedi, la passione di Piero Traverso, la calma (o l’autocontrollo?) di Fausto Bosi. La federazione era l’anziano Ulivieri, il maestro era il professor Carmarino, allevatore di talenti a Rivarolo, gli arbitri ai quali accostarsi con rispetto e amicizia erano Rosso, Risso, Zuccarino, Solinas e il già quotato Santo Grasso. I terreni di gioco erano le palestre di via Cagliari e della Diaz, i capannoni di Voltri, il campo del Don Bosco all’aperto, come pure quello della trasferta più lontana, ad Albisola, dove imperava Besio. Alla Spezia c’era Paoli, dirigente di frontiera.
UNA STORIA COMINCIATA PER CASO –
La mia storia nel volley è cominciata per caso. Giocavo a calcio nei ragazzi dell’Entella appena approdata in serie C. Lì sognavo di arrivare. La società aveva però dei seri problemi finanziari e decise di ridimensionare l’attività: essendo obbligatoria la partecipazione al campionato Cadetti (l’antenato dell’attuale Primavera) sciaguratamente liquidò le squadra juniores. Molti compagni continuarono nella Chiavari Calcio, io invece scelsi la strada della palestra. Avevo imparato a giocare a pallavolo a scuola. Il professor Muttoni, mio insegnante di educazione fisica, aveva allestito la squadra per partecipare al primo Torneo Studentesco disputato alla Marchesani, nell’inverno del 1961. Con i miei cari amici Claudio Giorgi, Arnaldo Monteverde e Gusti Rossetto, in un gruppo comprendente anche Ivo Divano, Dino Scarpa, Uto Rossi e Peo Solari, mi divertii parecchio nell’imbattibile formazione dei ragionieri. Al calcio non pensai più e aderii con entusiasmo a una scommessa un po’ azzardata (ideata da un altro vecchio amico, Luigi Codda, che poi si sarebbe fatto strada come arbitro): fondare, sotto l’egida del Centro Sportivo Italiano, una nuova società, la seconda a Chiavari, dove era già in attività l’ACLI Pallavolo. Colori rossoneri, battezzata Nike: non perché potessimo contare su uno sponsor di grande prestigio, ma per un richiamo alla mitologia greca e alla dea della vittoria. Nonostante la pretenziosa denominazione sociale, di partite ne vincemmo poche, nel campionato regionale, distinguendoci però nel torneo juniores.
LA CASA MARCHESANI –
Ormai la pallavolo stava decollando. E buona parte del merito spetta al pioniere Dalmaso: Renzo è stato il motore di una macchina che ha cominciato a prendere velocità una volta inaugurata, nel 1960, la Casa Marchesani in viale Enrico Millo. Un complesso dotato, oltre che di un albergo molto funzionale, di una palestra all’avanguardia per quei tempi, con un fantastico parquet. Le squadre azzurre di basket e di volley (ma anche di judo, lotta e scherma) venivano spesso in collegiale a Chiavari. Per noi pallavolisti alle prime armi avere a che fare con il mitico prof Franco Anderlini – lo avevo conosciuto nell’agosto del 1963, al campus di Celana – e assistere (in qualche caso partecipare, come sparring) agli allenamenti delle giovanili azzurre o addirittura della Nazionale di Josef Kozak – il tecnico dell’Italia Universitaria campione del mondo a Torino nel 1970, che insegnò il bagher e il muro come nessuno aveva mai fatto in Italia – era il massimo della vita. La Marchesani divenne un punto di aggregazione per i giovani di tutto il Tigullio. Certo la pallavolo a Chiavari non avrebbe preso quota senza la presenza di un laico e di un sacerdote che avevano una marcia in più: Luigi Spadoni, funzionario Acli poi diventato presidente del comitato regionale Fipav, e don Lelio Podestà, direttore della Casa Marchesani. Né sarebbe sopravvissuta senza dirigenti appassionati quali Domenico Pagella e Piero Sciutto. Così un gruppo di giovani studenti guidati da Dalmaso salì agli onori della divisione nazionale serie B (sfiorando qualche anno dopo addirittura la promozione in A; da notare che allora le categorie non erano doppie, come oggi) con l’etichetta ACLI Pallavolo prima e CSI Volley poi. La promozione dell’ACLI in serie B, stagione 1962-63 (con l’allenatore-capitano Dalmaso giocavano Claudio Giorgi, Squillario, Viaggi, Giuseppe Giorgi, Sartori, Capozio, Divano e Sanguineti) fu una forte attrattiva. Se Dalmaso era il guru di quel gruppo, Claudio Giorgi era il fuoriclasse, dotato di un carisma che gli consentì di farsi carico del non facile ruolo di allenatore-giocatore per portare avanti il lavoro di Renzo, quando questi andò prima ad assolvere il servizio militare e poi a studiare all’Isef .
IL BOOM NEL LEVANTE –
Per tutti, giovani giocatori e dirigenti, la forza capace di piegare le difficoltà – non poche – era la grande passione. La stessa passione che fece dilagare la pallavolo dentro e fuori i confini del Tigullio. Così a Lavagna ecco spuntare la Stella Azzurra, fondata nel 1963 da un gruppo di studenti, Fausto Molinari in testa. Costretta inizialmente ad allenarsi e a giocare su un campo in asfalto (la platea di un cinema estivo all’aperto) prima di trovare casa nella palestra Riboli, la squadra lavagnese bruciò le tappe: in pochi anni, con Arnaldo Boero presidente e Giorgio Vaccarezza vulcanico direttore sportivo, conquistò la serie B per dare vita ad accese sfide con il Chiavari. Nonostante la forte rivalità, nel corso degli anni molti giocatori passarono da una squadra all’altra. Noi per altro eravamo abbastanza autarchici – Ermirio, Sormani e Parola i nostri primi… stranieri – mentre i lavagnesi piazzavano clamorosi colpi di mercato: per conquistare la prima promozione tra i cadetti, nel 1966, la Stella Azzurra ingaggiò addirittura il monumento azzurro Oddo Federzoni. Nel 1970 si genovesizzò con Bosi allenatore, Cavallero, Roj e Candia; nel 1972, benché retrocessa in serie C, chiamò un’altra vecchia gloria, Silvano Mazzi, a terminare la carriera in Liguria. Che Chiavari potesse costituire un importante trampolino di lancio per la pallavolo nel Levante lo capì ben presto Giangi Corti, pendolare sulla linea Genova-Chiavari per espletare la sua poliedrica attività: dirigente, arbitro, giornalista e quant’altro. Così il Patronato Acli, che già ospitava la società di pallavolo, divenne anche la sede della delegazione distaccata della Fipav. Con una frequentazione ininterrotta di giocatori, dirigenti, allenatori e arbitri. E spesso i ruoli si confondevano. Perché comunque bisognava dare una mano – tra i più attivi Rossetto, Manuel Raffo e Pino Chiarini – per far crescere la pallavolo.
Rapallo, Santa Margherita, San Salvatore di Cogorno, Sestri Levante, Riva Trigoso e Moneglia non stettero a guardare. La domanda era: “Perché non facciamo una squadra anche noi?”. Pure le donne salirono presto alla ribalta. Sempre partendo dalla palestra Marchesani, auspice la professoressa Alice Salviati Fico, raggiungendo un eccellente livello: prima in serie B con l’Elce Chiavari, poi, a cavallo degli anni Ottanta-Novanta, con la Polisportiva Santa Maria Rapallo, abbinata Latte Tigullio, che arrivò ad un passo dalla serie A. Le squadre maschili, dopo un periodo di anonimato, riconquistarono l’alto profilo: a Chiavari (nel frattempo legatosi all’Admo, ancor prima del trasferimento a Lavagna a metà degli anni Novanta) fino al significativo traguardo della B1. Protagonista di numerose stagioni importanti grazie alla tenacia di Flavio Cremisio – uno della vecchia guardia che non ha mai mollato – l’Admo Lavagna, costretto a un ridimensionamento, ha poi ceduto il passo al Villaggio Volley, salito fino alla B2. Un bel richiamo ai pionieri di San Salvatore, quarant’anni dopo l’attività avviata sotto l’egida del CAP, il Centro Addestramento Professionale di don Nando Negri. Devo dirlo con orgoglio: da lì sono passato anch’io, tenendo a battesimo e allenando sia la squadra maschile – vinse il campionato di Promozione, quello di serie D e diversi titoli giovanili – sia quella femminile.
FINALMENTE IN SERIE B –
Per raccontare la diffusione della pallavolo nella riviera di Levante mi sono spinto un po’ troppo avanti, quindi mi tiro le orecchie e ritorno al 1963. Quando, chiamato da Dalmaso e incoraggiato da Giorgi, andai a indossare – insieme a Costa e a Garibotto – la maglia (verde con colletto e bordi bianchi; in seguito la società avrebbe sostituito il bianco con il blu, per comporre i colori della città) dell’ACLI Pallavolo Chiavari. Il debutto in serie B fu clamoroso: battemmo 3-0 alla Marchesani la quotata Alessandria di Franco Benzi. Sul campo di casa davamo il meglio, superarci era difficile per tutti, grandi comprese. Qualcuno ci prendeva sottogamba. Per esempio i ragazzi del CSI Volley Genova – Conti, Tondi, Montaldo, Fornaroli, Parola, Tarabuso, ecc. – che alla Marchesani arrivarono convinti di liquidare in fretta la pratica, contro una neopromossa che stava lottando per salvarsi. Una mano per la verità ce la diede, involontariamente, Carlo Tarabuso, che al momento di entrare in campo ci disse “ragazzi, preparate gli elmetti…”. A Dalmaso saltò la mosca al naso: “Facciamogli vedere chi siamo”. Risultato finale, 3-0 per noi. Il dirigente genovese Ghiglione sportivamente si complimentò, chiedendosi incredulo: “Ma come abbiamo fatto a perdere?”. In trasferta però non battevamo chiodo, o quasi: il miglior risultato fu un 2-3 nientemeno che contro il Multedo, vale a dire Conte, Candia, Cavallero, Bosi, Concedi, Pontini… incredibile ma vero, per un soffio non facemmo il colpaccio. Impresa che ci riuscì alla Marchesani, un’interminabile sfida conclusa ancora al quinto set, a conferma che il risultato dell’andata non era stato casuale. La stagione 1963-64 terminò con una sospirata salvezza, raggiunta in extremis e senza Dalmaso, partito per il servizio militare quando mancavano un paio di partite alla fine del campionato. Il bello è che dopo tanti patimenti finimmo addirittura al quinto posto, alle spalle di Celana Bergamo, CSI Milano, Multedo e Volley Genova. Non male per una matricola. Inoltre vincemmo il titolo regionale juniores. Era la conferma che aspettavamo: nella pallavolo importante potevamo starci anche noi ragazzi di provincia.
IL 1967, ANNO MAGICO –
Dopo la stagione del noviziato, Chiavari collezionò altri sette campionati di serie B. Un anno indimenticabile fu il 1967. Ebbi la soddisfazione di partecipare, a Firenze, alla finale nazionale dei campionati universitari. Il Cus Genova schierava i genovesi Gay, Pontini, Roj, Sormani e Conti; i chiavaresi Giorgi, Valente e Scarpa; Felugo e Capurro della Stella Azzurra. Conquistammo la medaglia di bronzo, battendo 3-0 Milano dopo aver perso 3-2 la semifinale con Firenze, forte di mezza Ruini (Mattioli, Nannini, Barbieri, Veljak, ecc., più l’allenatore Bellagambi) ma che poi perse il titolo per opera del Cus Bologna trascinato da uno strepitoso Fangareggi. Pochi mesi dopo, in agosto, ecco una piacevole esperienza internazionale con la maglia dell’Italia Navigazione. Due partite, una a Genova – campo all’aperto, allestito al Lido di Albaro – e una a Chiavari contro lo Slavia Praga del grande Musil. I maestri cechi ci diedero lezione di volley: un netto 3-0 la prima sera, un più combattuto 3-1 alla Marchesani. La squadra genovese era in realtà una rappresentativa: al fianco dei navigatori Fegino, Candia, Gay, Conte, Roj erano stati chiamati gli imminenti nuovi acquisti (dall’Italsider) Luciano Fornaroli, Zancan, Conti e Antonini; Salvini dell’Oto Melara Spezia e i rivieraschi di belle speranze Claudio Giorgi e Valente. A onore del vero l’etichetta era ben giustificata per Giorgi, indiscutibilmente il miglior pallavolista chiavarese di sempre: già nel giro azzurro, pochi anni dopo avrebbe giocato in serie A con il Torino di Leone. Io invece mi dovetti accontentare, qualche stagione più avanti, della Nazionale militare (come Piero Semovigo, altro mio compagno di squadra, e come Lorenzo Capurro della Stella Azzurra).
A DUE PUNTI DALLA SERIE A –
La stagione migliore del Chiavari? 1968-69, senza dubbio. La squadra era composta dall’allenatore-giocatore Claudio Giorgi, dai fratelli Pino e Piero Chiarini, da Cremisio, Raffo, Carnevale, Semovigo, Cordano, Foppiano, Spinetto e dal sottoscritto; in panchina il d.t. Monteverde. Del gruppo storico mancava soltanto Beppe Giorgi, in servizio militare. Dopo aver dominato per oltre metà torneo, mancammo la promozione per due soli punti, complice un pasticciaccio: salirono in serie A i Portuali Ravenna, da noi nettamente battuti due volte. Persa l’imbattibilità a Pesaro e scivolati anche a Roma, fu decisiva la sconfitta patita a Terni contro i VVF Tosoni: la partita andò al quinto set e ne successero di tutti i colori, compresa un’invasione di campo. L’arbitro (non c’è più e preferisco non nominarlo, ma basti dire che fece carriera) non era un mostro di coraggio e portò a conclusione il match senza prendere provvedimenti. La società presentò reclamo, ma la Commissione nazionale gare della Fipav omologò il risultato, limitandosi a infliggere alla società umbra una multa di 30 mila lire (non poche per quei tempi). Una beffa. Con un retroscena tutto nostro. Festeggiato il (platonico) titolo di campioni d’inverno, il presidente Pagella ci aveva avvisato: “Ragazzi, cercate pure di vincere il campionato, ma sappiate che soldi per fare la serie A non ce ne sono”. Era destino che Chiavari non dovesse assaggiare il sapore della serie A.
UN CURIOSO ESPERIMENTO E POI NAPOLI –
In pillole gli ultimi ricordi. Il curioso esperimento della pallavolo a tempo (novanta minuti) nel Trofeo Federale, maggio 1969: inevitabile la sfida (accesissima) con i VVF Gargano allenati da Bosi, vincitori per un punto (75-74) alla Marchesani. Loro erano Conti, Menocci, Tambroni, Cuccadu, Marchese, Zancan, Bertolotto, il giovane Scanarotti… passarono il turno vincendo anche, e più nettamente, il ritorno nella palestra di Rivarolo. Nel campionato 1969-70, con la squadra rinforzata da Marco Felugo – chiavarese cresciuto nella Stella Azzurra, futuro avvocato e papà di Maurizio, campione della pallanuoto – castigammo il Gargano, superato 3-1 alla Marchesani e costretto a dire addio alle residue speranze di promozione in serie A. Poi la vendetta sul campo di Terni dove era sfumato il nostro grande sogno: battemmo il Tosoni 3-1 e ne successero ancora di tutti i colori. Mani ignote approfittarono di un parapiglia per rubarci un paio di tute dalla panchina. Finimmo il torneo senza Giorgi, che si era appena laureato ed era partito per il servizio militare. A ottobre del 1970 la divisa toccò anche a me, che di Claudio ero non soltanto meno bravo, ma anche meno studioso: all’Università stavo facendo flanella perché mi ero messo in testa di fare il giornalista e quindi non approfittai più del rinvio per motivi di studio. Dopo il Car a Orvieto fui aggregato alla Compagnia Speciale Atleti del capitano Picariello di stanza a Napoli, dove ritrovai Giorgi, arrivando però quasi a metà del campionato di serie B. La squadra, gestita dal maresciallo Pelillo, era di eccellente livello ma aveva trovato sulla sua strada il Catania, dove stava nascendo il gruppo che alla fine degli anni Settanta si sarebbe assestato nei quartieri alti della serie A, aggiudicandosi anche uno scudetto. Nella stagione successiva il catanese Nino Cuco se la cavò egregiamente come allenatore-giocatore – da tecnico si sarebbe poi distinto a livello nazionale – ma volle ripartire da zero: i pochi superstiti della formazione precedente, tutti in congedo a dicembre, furono presto accantonati perché bisognava far fare esperienza ai giocatori che avrebbe portato a termine il torneo. Così nell’ultimo mese di naja in pratica feci il turista. Una volta congedato, rientrai a Chiavari, nel frattempo precipitato in serie C, per dare ancora una mano. Alla conclusione di quel campionato terminò anche la mia attività agonistica. Nel giugno del 1972 fui assunto a Genova dal Secolo XIX e per me cominciò un’altra storia. Non meno intrigante.
E.V.
Per gentile concessione dell’autore, tratto dal libro: Alta in banda – Ed. Lo Sprint srl – marzo 2016
Lascia un commento